Le Sezioni Unite mettono fine alla breve esistenza del diritto a non nascere (se non sani)

Le Sezioni Unite mettono fine alla breve esistenza del diritto a non nascere (se non sani)
31 Dicembre 2015: Le Sezioni Unite mettono fine alla breve esistenza del diritto a non nascere (se non sani) 31 Dicembre 2015

Le Sezioni Unite, con sentenza 22 dicembre 2015 n. 25767, hanno negato che il nato con disabilità sia legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere, se non sano”. La questione era stata rimessa alle SS.UU. dalla Terza Sezione della Cassazione Civile, con ordinanza n. 3569 del 23 febbraio 2015, dopo che la medesima Sezione, con la nota sentenza n. 16754/2014, rovesciando un consolidato orientamento, aveva invece ritenuto risarcibile il danno che si asseriva esser stato subito dal nascituro affetto da una malattia genetica, la cui nascita non era stata evitata “dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito”, non aveva impedito “alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza”. Secondo le Sezioni Unite, “la tesi ammissiva” di tal genere di danno “incorre in una contraddizione insuperabile: dal momento che il secondo termine di paragone, nella comparazione tra le due situazioni alternative, prima e dopo l’illecito, è la non vita, da interruzione della gravidanza. E la non vita non può essere un bene della vita; per la contraddizione che nol consente. Tanto meno può esserlo, per il nato, retrospettivamente, l’omessa distruzione della propria vita (in fieri), che è il bene per eccellenza, al vertice della scala assiologica dell’ordinamento”. È dunque evidente che “non si può parlare di un diritto a non nascere”. Fra le molteplici obiezioni che i giudici di Piazza Cavour muovono alla tesi disattesa, ve n’è una estrema, ma estremamente suggestiva; “Né può essere sottaciuto, da ultimo, il dubbio che l’affermazione di una responsabilità del medico verso il nato aprirebbe, per coerenza, la strada ad un’analoga responsabilità della stessa madre, che nelle circostanze contemplate dall’art. 6 l. 194/1978, benchè correttamente informata, abbia portato a termine la gravidanza: dato che riconoscere il diritto di non nascere malati comporterebbe, quale simmetrico termine del rapporto giuridico, l’obbligo della madre di abortire”. Ed, in effetti, come sempre accade, forzare la logica e il diritto può condurre a risultati imprevisti ed indesiderati, seppur coerenti con la linea di sviluppo di qualsiasi forzatura, quando essa venga portata alle sue estreme conseguenze. Non a caso, pertanto, la sentenza delle Sezioni Unite ammonisce pure a guardarsi dalla possibile “deriva eugenica” che il riconoscimento del “diritto a non nascere, se non sani” potrebbe implicare e conclude sottolineando che “il contrario indirizzo giurisprudenziale e dottrinario… finisce con l’assegnare, in ultima analisi, al risarcimento del danno un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale”.

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